mercoledì 15 febbraio 2017

Franco Bechis bacchetta i suoi colleghi: "#Siamotutticolpevoli sul caso Di Maio. Che insegna molto”


(di Franco Bechis – limbeccata.it) – Prima di dire qualcosa ho aspettato di vedere tutti i fatti. E i fatti sono questi. Agli atti della inchiesta che ha portato all’arresto di Raffaele Marra ci sono sms e messaggi whatsapp trovati sul suo telefonino. Sono stati trascritti, e alcune di quelle trascrizioni sono state passate alla stampa perché gli uffici giudiziari sono dei colabrodo da cui esce anche il materiale coperto da segreto investigativo. Tre giornali (Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero) li hanno avuti e li hanno pubblicati. Fra questi anche un messaggio che originariamente era stato scritto da Luigi Di Maio e inviato a Virginia Raggi in cui fra l’altro si definiva Marra “un servitore dello Stato”.I tre quotidiani hanno pubblicato quel messaggio che diceva: “Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E’ un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla“. Non si sono limitati a pubblicarlo, ma qualcuno ha interpretato quel testo come voleva, anche storpiandolo un bel po’ (titolo di Repubblica) e facendo dire a Di Maio quello che nel messaggio non era affatto scritto (“Marra è uno dei miei”). Forse un infortunio, forse no. Su altre testate l’interpretazione è stata meno spinta, ma non sono mancate riflessioni e parti di commento per confrontare quel testo nudo e crudo con altre dichiarazioni di Di Maio che aveva fatto per prendere le distanze da Marra: sembravano in assoluto contrasto.

Letta la rassegna stampa quel mattino si sono infuriati sia il diretto interessato- Di Maio- che Beppe Grillo, che ha risposto da par suo sul blog in un post dall’eloquente titolo “#GiornalismoKiller, la misura è colma”. La rabbia veniva dal fatto che l’sms di Maio era stato pubblicato monco, perché mancava la parte che lo precedeva. Eccola: “Pignatone cosa ti ha detto dopo che gli hai inoltrato il suo nominativo (di Marra, ndr)? In ogni caso nella riunione con me, Marra non mi ha mai chiesto se andare in aspettativa o meno. Semplicemente mi ha raccontato i fatti. Io l’ho ascoltato. Perché tu me lo avevi chiesto. Sono rimasto a tua disposizione non sua. E penso che nel gabinetto non possa stare, perché ci eravamo accordati così. Nessuno si scandalizzi se facciamo le pulci prima di tutto ai nostri. Siamo il movimento 5 stelle. E certe responsabilità è meglio prendersele con contezza di causa. Non devi sentirti accerchiata Virginia. Devi stabilire un contatto con la tua squadra(cioè il minidirettorio). Loro sono i tuoi alleati non i tuoi nemici“.

Ovvio che senza questa parte non si capisce la seconda (quella pubblicata), che assume tutt’altro significato. Ma è stata volontariamente tagliata dai giornalisti o dai giornali? No. Anche questo è un fatto. Cosa è accaduto? Che Di Maio ha scritto su whatsapp alla Raggi tre messaggi consecutivi sul caso Marra. La sindaca di Roma li ha ricevuti, e anche se non era stato scritto con quello scopo, ne ha girato a Marra uno solo: quello che è stato pubblicato dai tre giornali. Sul telefonino di Marra solo quello esisteva, e solo quello ovviamente è stato trascritto dagli inquirenti ed inserito nella documentazione giudiziaria arrivata in possesso alle tre redazioni, che hanno pubblicato quello perché solo quello avevano. La pubblicazione è stata quindi esercizio del diritto di cronaca.

Fin qui i fatti. La mia opinione su quei fatti è che in questo incidente, in sè non voluto, #siamotutticolpevoli. Il pasticcio nasce inconsapevolmente dalla Raggi. Che bisogno aveva di giustificarsi nei confronti di Marra? Avrebbe dovuto non girargli nulla di quel che le aveva scritto confidenzialmente Di Maio. Invece gli ha girato quel pezzetto dove si parlava bene di lui, nascondendo il resto per non turbarlo. Certo, lei non poteva sapere che un giorno quel sms sarebbe finito agli atti di una inchiesta giudiziaria, ma poteva evitarsi di svelare a terzi il contenuto (parziale) di una conversazione privata.

Secondo elemento: bisogna avere un po’ meno fiducia nella imparzialità della giustizia italiana. Perché è assai ballerina. E perché la politica entra nelle procure come in gran parte della vita civile, e spezzoni di inchiesta vengono utilizzati ora da questo ora da quello per altri fini. In questo caso la vittima è Di Maio, in altri casi la vittima potrebbe essere un avversario politico di Di Maio.

Prima di linciare qualcuno sulla base di spezzoni di inchiesta usciti sulla stampa bisognerebbe quindi contare non fino a 3, ma fino a 10 mila. Ed è una lezione per tutti: inchiesta giudiziaria non è equivalente di verità. Si pigliano grandi cantonate, e si usano brogliacci anche di intercettazioni per fare la guerra politica di un fronte contro l’altro. Poi tutto si dissolve nei processi, ed emerge una altra verità. Nel frattempo però chi è stato messo in mezzo è rovinato. Pensate un po’ al caso Di Maio. E se lui non avesse conservato in memoria la chat integrale? Se avesse cambiato modello di telefonino non recuperandola?

Terza riflessione, la stampa. Non è colpevole nell’infortunio del primo giorno, perché pubblica quello che ha a disposizione. Mai in passato ha pensato di verificare materiale giudiziario ricevuto, e non l’ha fatto nemmeno questa volta. Come una buca delle lettere prende per buono quel che arriva. Non c’è da vantarsene: è un malcostume in cui siamo incorsi tutti, me compreso. Chi dice di no è bugiardo. Nei confronti del M5s c’è una ostilità di fondo, e si vede che non si aspettava altro che cogliere al balzo quel moncone di sms di Di Maio per puntarglielo addosso. Repubblica ha fatto di peggio, interpretando a modo suo quel che non era scritto.

Ma la vera frana della stampa è avvenuta il giorno dopo. Immaginavo di trovare pubblicata la verità: il messaggio integrale scritto da Di Maio. E magari una spiegazione un pizzico autocritica “abbiamo pubblicato un messaggio parziale, perché quello è il solo contenuto agli atti della inchiesta. Appreso ora nella versione integrale, chiediamo scusa per averlo interpretato ieri in modo diverso da quel che appare”. Invece nessuna scusa, e la difesa inconcepibile non della propria buona fede (ci stava), ma dell’errore di fatto compiuto pubblicando una conversazione monca in modo che il contenuto ne fosse del tutto distorto. Questa difesa andrebbe esaminata sì dall’ordine dei giornalisti. Perché da nessuna parte viene insegnato che nel nostro mestiere dobbiamo prendere per buono un brogliaccio di una procura e ricamarci su un commento un po’ ideologico per dire che abbiamo finalmente trovato la prova che conferma quel che pensavamo prima a prescindere. Quando poi emergono i fatti nella loro completezza- e sono diversi dai brogliacci parziali- difendere i brogliacci al posto dei fatti è l’esatto contrario del mestiere del giornalista. Nessuno di noi è infallibile. Sbagliamo e quando succede dovremmo chiedere scusa e tornare indietro. Non è stato fatto, e così #siamotutticolpevoli

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