mercoledì 15 marzo 2017

LA PROPOSTA DEL M5S: TAGLIAMO LE PENSIONI D'ORO E AUMENTIAMO LE MINIMI. CONDIVIDI SE SEI D'ACCORDO

TAGLIAMO LE PENSIONI D'ORO E AUMENTIAMO LE MINIME
La proposta del M5S: tagliare le pensioni d'oro (a cominciare da quella dell'ex manager Mauro Sentinelli, che percepisce 90 MILA EURO AL MESE) e usare quei soldi per aumentare le pensioni minime. Condividi se sei d'accordo!




Il vitalizio del parlamentare è una rendita concessa al termine del mandato parlamentare e che si protrae "vita natural durante", al conseguimento di alcuni requisiti di anzianità di permanenza nelle funzioni elettive. In alcuni ordinamenti (Italia) esso è previsto anche per chi è stato titolare di un mandato rappresentativo nell'ambito di assemblee non statali, presso le quali si svolga una funzione legislativa e non meramente amministrativa (Regioni, Land, ecc.).

Malgrado l'affinità di effetto, il vitalizio parlamentare è giuridicamente distinto dall'istituto della pensione propriamente detta per fonte e perché l'attività politica non è lavorativa, dunque non ricadente nella disciplina del diritto del lavoro (che costitutivamente ha diversa giurisdizione). In particolare, malgrado i relativi emolumenti siano provveduti dall'erario pubblico, il mandato elettivo è in genere distinto dalla figura del rapporto di pubblico impiego ed è in genere sottratto alle normazioni sulla pubblica amministrazione. Singoli ordinamenti possono però prevedere commistioni, confusioni e altre variazioni di disciplina, rispetto al principio di netta distinzione tra le due figure giuridiche.

L'istituto è presente in diversi ordinamenti costituzionali che contemplano il mandato elettivo[1]; di seguito ne saranno esemplificati alcuni.

In Australia[modifica | modifica wikitesto]
In Australia il parlamento (Parlamento del Commonwealth) si compone di tre enti: la Regina (rappresentata dal Governatore Generale), il Senato, e la Camera dei Rappresentanti. In generale le previsioni normative sono regolate in base al Parliamentary Superannuation Act del 2004[2], che ha riformato il sistema applicabile ai deputati eletti dopo il 2004[3].

Queensland[modifica | modifica wikitesto]
Nel Queensland la gestione dei regimi pensionistici dei membri della locale Assemblea Legislativa spetta al Queensland Independent Remuneration Tribunal. Fa parte dei benefit pensionistici un viaggio gratuito ogni anno, di andata e ritorno, in aereo o in treno, sia per l'ex parlamentare che per il congiuge, purché la tratta sia compresa nel territorio di Australia, Nuova Zelanda o Papua Nuova Guinea; il benefit è soggetto a requisiti minimi di persistenza nel mandato ed è esteso ad ex membri del governo[4]

Western Australia[modifica | modifica wikitesto]
In Western Australia vige il Parliamentary Pension Scheme (PPS), schema pensionistico sviluppato in ottemperanza al Parliamentary Superannuation Act del 1970 e riformato nel 2000 con la chiusura delle ammissioni al connesso fondo; i parlamentari eletti dopo la riforma sono inquadrati in un fondo pensionistico "ordinario" di loro preferenza con contributi statali e controllo da parte del Government Employees Superannuation Board (GESB), ente governativo per i fondi pensionistici del pubblico impiego. Con il PPS gli ex parlamentari possono raggiungere un importo di pensione pari al 75% dell'indennità dei parlamentari in carica solo dopo 20 o più anni di mandato; il limite minimo è di 7 anni. Lo schema ammette una parziale reversibilità a favore del coniuge o del convivente di fatto; in caso di contemporanea presenza di coniuge e convivente di fatto, la reversibilità spetta a entrambi[5].

In Belgio[modifica | modifica wikitesto]
Il sistema parlamentare belga, trattandosi di uno stato federale, prevede un Senato, una Camera dei rappresentanti e diversi parlamenti federati.

Parlamento Vallone[modifica | modifica wikitesto]
Il Parlamento Vallone richiede per l'ammissione al beneficio che il parlamentare (o il precedente membro del Governo Vallone, poiché il trattamento è unificato) ne abbia versato i relativi contributi accantonati sull'indennità di mandato o sull'assegno di liquidazione. È consentito il cumulo con altri trattamenti ricevuti per periodi diversi da quelli del mandato parlamentare o ministeriale non riferibili al Parlamento Vallone, ed è prevista la reversibilità. Il montante complessivo della pensione non può in ogni caso superare i tre quarti dell'indennità spettante ai membri parlamentari in carica[6].

La liquidazione, a partire dalla riforma del 2013, non spetta al parlamentare che lascia il mandato volontariamente per assumere altre cariche[7]

In Burundi[modifica | modifica wikitesto]
Nel Burundi i parlamentari provenienti dalla Funzione Pubblica sono considerati "distaccati" al Parlamento, e pertanto al loro rientro nell'impiego non patiscono differenze nella maturazione del diritto alla pensione[8].

È allo studio l'istituzione di una cassa di previdenza per i membri e i funzionari del Parlamento[9], mentre allo stesso tempo si sta organizzando un ente pensionistico specifico (Office National des Pensions et des Risques Professionnels) per funzionari, magistrati e agenti dell'ordine giudiziario che non possono essere ammessi ai servizi dello INSS (Institut National de Sécurité Sociale)[10].

In Francia[modifica | modifica wikitesto]
In Francia, a partire dalla Rivoluzione francese e con l'eccezione dei periodi della Restaurazione e del governo di Vichy, i parlamentari ricevono un'indennità di mandato e nel corso del tempo a questa si sono affiancati fondi di soccorso per i deputati anziani, istituti di previdenza sociale e, dal 1909, una vera e propria pensione di anzianità. Per effetto di recenti revisioni[11], l'età minima per la liquidazione è passata dai 50 anni (previsti sino al 2003) a 60 anni (attualmente), che diverranno 62 nel 2018. La durata minima di permanenza nel mandato per ottenere il massimo importo di pensione è stata portata a 7 legislature (o 31 anni), mentre in precedenza ne bastavano 5 (o 23 anni). L'importo lordo della pensione mensile ottenibile dopo l'esercizio di un mandato di 5 anni ammonta ora, compresi oneri complementari, a 1 219 euro ed è stato vietato il cumulo fra pensione parlamentare e pensioni professionali, pubbliche o private (ma non è vietato il prosieguo in attività private)[12].

Nel 1904 era stata creata un'apposita Cassa autonoma di previdenza per i Senatori, sottoposta a tre modifiche principali nel 2003, 2010 e 2014, ed oggi finanziata dai contributi dei senatori e dal bilancio del Senato. Il sistema prevede la possibilità di ricorso a un sistema complementare[13].

Con la riforma del 2010 il sistema pensionistico parlamentare è stato equiparato ai sistemi vigenti per il pubblico impiego, con riferimento al codice pensionistico civile e militare[14].

In Italia[modifica | modifica wikitesto]
L'erogazione di un trattamento economico vitalizio, alla cessazione della carica e comunque al superamento di una soglia di età anagrafica, è un istituto che nell'ordinamento italiano è riservato ai deputati, ai senatori e ai consiglieri regionali.

Gli emolumenti per i parlamentari, previsti dall'articolo 69 della Costituzione italiana, si limitano all'indennità ed alla diaria, ed attengono esclusivamente ai titolari in carica. La disciplina interna alle Camere ha arricchito in autodichìa[15] tali emolumenti, sia integrando i requisiti di legge[16] sia aggiungendovi una più vasta serie di competenze, che sono destinate ai parlamentari cessati dalla carica. Al contrario, per i consiglieri regionali la disciplina di norma riposa su apposite leggi regionali.

Fino al 2012 questi emolumenti erano inquadrati sotto forma di accensione di una rendita vitalizia (o vitalizio propriamente detto), parzialmente alimentata da un prelievo sull'indennità del periodo di esercizio della carica; per essere erogata, occorreva superare una soglia di età che, a partire dalle modifiche a firma Marini e Bertinotti, è stata progressivamente elevata.

Il riscatto del periodo mancante alla durata piena della legislatura
Una peculiarità dei vitalizi era la possibilità che fossero accordati previo riscatto del periodo mancante alla durata piena della legislatura (5 anni)[17]: si tratta di una possibilità che valeva sia per coloro che avessero iniziato la legislatura e non avessero completato il quinquennio per la fine anticipata della legislatura, sia per il parlamentare subentrante in corso di legislatura. In ambedue i casi era consentito di riscattare il periodo non svolto, mediante appositi versamenti a valere sulle proprie competenze future[18].
Lo scandalo emerse dopo la pubblicazione del libro La Casta, che aveva denunciato i casi in cui il vitalizio era stato erogato a chi avesse fatto solo pochi giorni in Parlamento: si trovarono oggetto di critica sia le Presidenze si erano trovate a convocare le Camere per disporre il subentro (ad un deceduto a Camere sciolte o, in un caso, addirittura ad elezioni già avvenute)[19], sia i partiti che seguivano la regola interna delle dimissioni dei loro parlamentari "a rotazione" in corso di mandato[20]. Con una prima decisione di restringimento della facoltà di riscatto, le presidenze di Marini e Bertinotti avevano eliminato la possibilità del riscatto[21] per chi non avesse compiuto almeno due anni e sei mesi di legislatura[22].
Successivamente, con l'introduzione del sistema contributivo ad opera delle presidenze Schifani e Fini, la possibilità di riscattare i periodi mancanti al compimento della piena legislatura è stata rimossa del tutto[23], fatta salva la facoltà di ricongiungimento dei periodi in caso di rielezione.
La compressione o eliminazione della facoltà di riscatto avrebbe comportato, in alcune scadenze politiche importanti[24], la nascita di un vero e proprio "partito del vitalizio"[25], che nel vecchio regime non esisteva o almeno non influenzava le iniziative politiche volte allo scioglimento anticipato delle Camere[26].
Sull'equiparazione di questo tipo di rendita[27] con un trattamento previdenziale[28] sono state avanzate riserve[29], tanto più che il giudice delle pensioni si va dichiarando incompetente a conoscere del relativo contenzioso[30].

Il problema ha assunto dimensioni diverse dopo l'intervento normativo avvenuto nel 2012 a firme Fini e Schifani:

per i vitalizi in essere, si è introdotto il metodo di calcolo contributivo. In questa occasione il Regolamento per gli assegni vitalizi delle due Camere è stato abrogato ex nunc e, per i parlamentari in carica alla data del 1º gennaio 2012, si è applicato un sistema pro rata: la loro pensione risulta dalla somma della quota di assegno vitalizio definitivamente maturato, al 31 dicembre 2011, e della quota di pensione riferita agli anni di mandato parlamentare esercitato dal 2012 in poi.
per i parlamentari in carica nel 2012, il diritto al trattamento pensionistico, da quell'anno, si matura al conseguimento di un duplice requisito, anagrafico e contributivo: l'ex parlamentare ha infatti diritto a ricevere la pensione a condizione di avere svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni[31] e di aver compiuto 65 anni di età. Per ogni anno di mandato oltre il quinto, il requisito anagrafico è diminuito di un anno sino al minimo inderogabile di 60 anni;
per gli eletti per la prima volta nel 2013, il trattamento previdenziale viene esclusivamente inquadrato nella figura giuridica della pensione del parlamentare, tanto è vero che è regolato da appositi Regolamenti delle pensioni dei senatori e dei deputati, approvati dai rispettivi uffici di Presidenza il 31 gennaio 2012[32]. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha in proposito dichiarato: «I vitalizi li abbiamo già aboliti»[33].
Ambedue gli emolumenti (vitalizi pre-2012 e pensioni post-2012), comunque, sono assoggettati al contributo di solidarietà introdotto dal governo Letta, anche se le richieste per un'ulteriore tassazione (o addirittura salary cap) tendono a circoscriverne gli effetti in modo da non coinvolgere la generalità dei pensionati[34].

Riduzione dei vitalizi, contenzioso e richieste di restituzione del capitale[modifica | modifica wikitesto]
Dopo alcune decisioni autonomamente assunte dalle Camere (XV legislatura)[35] e da taluni Consigli regionali (2010-2012) per i nuovi eletti[36], il Governo Monti ha con decreto-legge prescritto alcune misure di riduzione per tutti i titolari, anche quelli di trattamenti in essere.

In conseguenza di ciò, sono state avanzati ricorsi giurisdizionali di titolari di vitalizio in varie Regioni[37].

Dopo un'apposita deliberazione della conferenza dei presidenti di consiglio regionale[38], la norma Monti ha ricevuto attuazione con leggi regionali pressoché ovunque, nelle venti regioni[39]. Tra gli altri[40], il Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige ha deliberato la riduzione dei vitalizi dei consiglieri regionali[41][42][43].

La concomitante decisione dei consigli regionali, che hanno inciso sul quantum dei vitalizi dei loro ex componenti, ha dato occasione di parimenti definire di "natura non previdenziale" i vitalizi dei consiglieri regionali: lo ha statuito Corte conti sez. Lombardia 24 giugno 2015, n. 117, che ha perciò rinviato i relativi ricorsi al giudice ordinario. Nel caso dei parlamentari, però, si sostiene che l'autodichia comporterebbe l'assenza di una qualsiasi sede giurisdizionale, dotata di terzietà, cui ricorrere[44] per lamentare illegittimità nella trattazione del rapporto o nella gestione/erogazione dell'emolumento[45].

Altra reazione dei soggetti incisi è stata quella di avanzare - secondo una possibilità espressamente contemplata in varie leggi regionali[46] - richieste di restituzione delle somme accantonate, ad esempio da parte degli eletti ancora non titolari[47] o di quelli che per un qualche motivo[48] diverso dalla pena interdittiva non ricevono più il vitalizio[49].

Il regime di cumulo dei vitalizi[modifica | modifica wikitesto]
Trattandosi di gestioni separate (ad eccezione di quella delle due Camere, che per una intesa reciproca pone in capo all'ultima l'onere dell'erogazione del complesso del vitalizio di tutti i periodi trascorsi da parlamentare), nel caso in cui il beneficiario abbia svolto l'attività politica presso più organi costituzionali, ha il diritto a percepire altrettanti vitalizi.

Perciò, nel caso di mandato di parlamentare che sia stato nella vita anche al Parlamento Europeo ed in un consiglio regionale, si possono cumulare anche tre vitalizi.[50]. Ad essi si aggiunge, ovviamente, il rapporto previdenziale di cui si è già autonomamente titolare in ragione del proprio originario rapporto di lavoro, pubblico o privato[51].

A fine XV legislatura in Parlamento fu introdotto un regime di sospensione del vitalizio per gli ex parlamentari titolari di altre cariche pubbliche vitaliziate (es. componente del CSM). I regolamenti delle pensioni dei senatori e dei deputati, approvati nel 2012, hanno ulteriormente precisato che la sospensione del pagamento della pensione opera qualora l'ex Senatore o ex Deputato sia rieletto al Parlamento nazionale ovvero sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale. Tale sospensione si applica altresì a tutti gli incarichi incompatibili con lo status di parlamentare - inclusi gli incarichi di Governo, in altri organi costituzionali[52], nelle Giunte regionali nonché le cariche elettive negli enti territoriali incompatibili con il mandato parlamentare - purché comportino un'indennità pari almeno al 50 per cento dell'indennità parlamentare lorda.

Nel 2015 in Toscana è stata per la prima volta proposta una legge regionale di revoca del vitalizio per chi versa in regime di cumulo[53]. Il cumulo è invece ancora possibile in Calabria, per i titolari di vitalizi regionali maturati prima della sua abrogazione[54].

Critiche alla tesi dell'intangibilità dei vitalizi[modifica | modifica wikitesto]
Ancora irrisolto, il carattere previdenziale o meno del vitalizio inciderebbe sulla soluzione del problema del se e come sia possibile comprimerne l'ammontare. In realtà ambedue le configurazioni conducono alla risposta affermativa, visto che, come tutte le prestazioni degli enti pubblici, esse sono soggette a norme di diritto pubblico. Il modo in cui però queste norme si relazionano con il diritto privato (con l'assunzione tra le parti di obblighi contrattuali) muta, a seconda delle due configurazioni, e quindi si addiviene alla compressione con percorsi diversi.

Natura di beneficio[modifica | modifica wikitesto]
Si è sostenuto che l'attribuzione del vitalizio è frutto di una concessione dell'organo costituzionale[55], liberamente revocabile (o assoggettabile a nuove condizioni, come ad esempio la mancanza di condanne penali in capo al beneficiario)[56].

Per converso, vi è chi sostiene che - anche se costruito sotto forma di contratto civilistico con un ente pubblico, accettato con l'iscrizione obbligatoria al fondo ovvero al momento della prima trattenuta sull'indennità - il vitalizio segua le vicende del rapporto consensuale di diritto privato, a meno che non subentri una norma imperativa di legge: pertanto si dovrebbe fare ricorso alla legge, ai sensi dell'articolo 23 della Costituzione, per ogni misura che comprima diritti[57] nascenti da quel contratto.

La prima delle due posizioni è stata confermata[58] dalla decisione assunta a maggioranza[59] dagli Uffici di Presidenza delle camere nella decisione del maggio 2015 di revoca dei vitalizi per i condannati[60].

Alla seconda posizione tenderebbe l'ipotesi di un taglio degli emolumenti erogati agli ex parlamentari, evocata - sia nella fase di preparazione della legge di stabilità per il 2016[61], sia successivamente[62] - dal presidente dell'INPS Tito Boeri[63], nonché il disegno di legge sul ricalcolo secondo il metodo contributivo proposto dal deputato Richetti[64] e tutti gli altri in discussione alla competente Commissione della Camera dei deputati[65].

Natura di pensione[modifica | modifica wikitesto]
Se si accede alla sua configurazione "previdenziale"[66] il carattere distintivo del vitalizio, rispetto alle altre pensioni a carico dello Stato, è che arriva a restituire da 5 volte[67] fino a 7 volte[68] i contributi previdenziali ad esso correlati, ossia versati dal beneficiario o dall'ente statale[69]; la media nel 2016, secondo Tito Boeri, sarebbe di 2 volte il versato[70].

Un tale istituto previdenziale andrebbe fatto quindi rientrare nel primo pilastro della previdenza: gli squilibri finanziari dei fondi, che gestiscono tali erogazioni, sono integrati per la quasi totalità attingendo al bilancio[71] dell'organo costituzionale che eroga tali prestazioni[72].

Anche così, la volontà di non modificare le situazioni passate deriverebbe da precise scelte politiche, e non da norme costituzionali o di altro livello: a tutela di eventuali diritti acquisiti non esistono tali salvaguardie, né in campo previdenziale, né tanto meno nelle prestazioni similari[73]. Ciò è in linea con quanto previsto nella teoria costituzionale nel diritto della previdenza sociale, secondo cui le prestazioni previdenziali sono un servizio pubblico e lo Stato può rivedere in ogni momento i livelli dei servizi che intende fornire al cittadino, così come, per esigenze di bilancio si possono ridurre ad esempio, le prestazioni sanitarie, la scuola, l'università, la sicurezza o bloccare gli aumenti degli stipendi ai dipendenti pubblici[74]. Non restano quindi ambiti esenti dall'operatività del principio di comprimibilità per legge dei trattamenti previdenziali, nel rispetto dei principi costituzionali.

La Corte di cassazione a sezioni unite ha definitivamente sbaragliato la tesi della natura di pensione del vitalizio[75], affermando che "va esclusa la natura pensionistica dell’assegno in questione, avendo esso una diversità di finalità e di regime rispetto alle pensioni"[76], sia pur in presenza di caratteristiche della prestazione lato sensu previdenziali[77].

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