martedì 21 marzo 2017

MA QUALE VITTIMA… LE TANGENTI DELLA MAFIA DEI VIDEOPOKER ERANO TUTTE PER FINI! ERA LUI CHE “VOLEVA” LA VILLETTA A MONTECARLO, FOTTUTA AL SUO PARTITO


1. L’AFFARE SI INGROSSA: PER I MAGISTRATI, I FRATELLI TULLIANI ERANO DUE “EMISSARI” DI FINI
2. ALL’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA VIENE CONTESTATO IL REATO DI RICICLAGGIO PER TRE DIVERSI EPISODI. E IL CASO PIÙ GRAVE E’ QUELLO DEI 2,4 MILIONI DI EURO INVIATI A SUO SUOCERO SERGIO TULLIANI DA CORALLO PER UNA FITTIZIA CONSULENZA IMMOBILIARE, SOLDI CHE SAREBBERO LEGATI ALL’APPROVAZIONE DEL DECRETO 78 DEL 2009 CHE FAVORÌ CORALLO
3. IL RACCONTO DI LABOCCETTA: “L’AFFARE DELLA CASA DI MONTECARLO NACQUE NEL 2008. C’ERAVAMO GIANCARLO TULLIANI, ELISABETTA, FINI, CORALLO E IO. FINI DISSE CHE LUI ED ELISABETTA DESIDERAVANO UNA CASA A MONTECARLO E AGGIUNSE TESTUALMENTE: ‘SIAMO CERTI CHE VORRAI AIUTARCI AD ESAUDIRE QUESTO NOSTRO DESIDERIO’. E CORALLO DISSE Sì”

Giacomo Amadori per la Verità

La vicenda della casa di Montecarlo non poteva finire peggio per Gianfranco Fini e il suo parentado. Infatti il cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, è stato raggiunto da un’ ordinanza di custodia cautelare nell’ ambito dell’ inchiesta della procura di Roma contro una presunta associazione transnazionale dedita a reati fiscali, al peculato e al riciclaggio, capeggiata dal re delle slot machine Francesco Corallo.Il quale, secondo gli inquirenti, avrebbe trasferito illegalmente dall’ Italia 215 milioni di euro, stornandone 7 ai Tulliani.

Peccato che da dicembre Tulliani si sia rifugiato a Dubai e che, da ieri, sia per lo Stato italiano un latitante. Nella richiesta di arresto firmata il 17 marzo dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma Simonetta D’ Alessandro ce n’ è anche per Fini. All’ ex presidente della Camera infatti viene contestato il reato di riciclaggio, aggravato dalla transnazionalità delle condotte, per tre diversi episodi.



Il primo perché in concorso con la compagna Elisabetta Tulliani e con lo stesso Giancarlo avrebbero messo a disposizione i conti correnti di tre società offshore di cui erano titolari i due fratelli per incassare i soldi necessari all’ acquisto del famoso mezzanino di rue Princesse Charlotte tra luglio e novembre 2008. Due tranche per un totale di 630.000 euro.

A Fini e ai fratelli Tulliani viene contestato anche un ulteriore invio di 200.000 euro che per gli inquirenti sarebbero stati utilizzati per la ristrutturazione dell’ appartamento. Infine per l’ ex vicepremier c’è l’ accusa più grave: il riciclaggio dei 2.400.000 euro inviati a suo suocero Sergio Tulliani da Corallo per una fittizia consulenza immobiliare, in realtà, secondo gli inquirenti, per l’approvazione del decreto 78 del 2009, quello che favorì l’ingresso in pompa magna delle società di Corallo nell’ affare delle videolottery.

Dunque per il giudice c’è anche Fini dietro al flusso di denaro sporco che avrebbe viaggiato tra Italia, Olanda, Antille olandesi, Principato di Monaco e Santa Lucia, un fiume di decine di milioni di euro che secondo la toga collegherebbe «i Tulliani, con una figura istituzionale di elevato rilievo, qual era, all’ epoca dei fatti, l’ onorevole Fini, e con il titolare di un’ impresa eminentemente criminale, qual è Corallo».

E se la richiesta di manette per Giancarlo è giustificata dalla fuga e dal possibile inquinamento delle prove, il giovanotto non sarebbe diverso dai suoi parenti. Scrive D’ Alessandro: «Egli non è diverso da sua sorella Elisabetta, o anche da Gianfranco Fini, anche loro coinvolti in fatti seriali di identica, gravissima lesività, che hanno ricoperto un lungo arco temporale». Il gip dedica una buona parte dell’ordinanza a ricostruire la cornice storica in cui si sono compiuti reati «che avrebbero connotato un’ intera fase politica, toccando in profondità l’ordinamento economico dello Stato».

Le indagini infatti stanno rivelando che i rapporti opachi tra «gli uomini più in vista di An a Napoli e più collegati a Fini» e il re delle slot machine sarebbero iniziati nel 2002, una collaborazione «cui il partito, nella sua massima espressione, forniva avallo e sostegno»; il legame si sarebbe rafforzato nel 2004, quando le società di Corallo entrarono nel mercato italiano del gioco d’ azzardo legale e Fini si fece ospitare con la sua corte dall’ imprenditore per una vacanza caraibica, suggellando «con Corallo un’ intesa»; infine a partire dal 2007 il testimone di ambasciatori di Fini presso Corallo sarebbe passato dagli uomini di An ai Tulliani, che secondo il giudice, diventano «centrali, ai fini della ricezione di ingentissime somme di denaro e varie utilità». Per D’ Alessandro «nulla spiega i contatti di Corallo con i Tulliani, fuori dalla funzione di prestanome di costoro».



Prestanome di chi è facile da immaginare. Tanto che il giudice parla espressamente di «contaminazione di figure istituzionali». Per il gip i due Tulliani sanno bene di commettere reati, tanto da schermarsi in tutti i modi per non risultare intestatari di immobili o di società riconducibili al denaro di Corallo e sanno anche che quel denaro arriva loro «in ragione di una illecita interrelazione dell’ impresa con un influente membro del governo a loro legato, ossia l’ onorevole Fini».



Infine D’Alessandro motiva la richiesta cautelare per Tulliani: il celebre cognato dopo l’arresto di Corallo del 13 dicembre scorso e la prima acquisizione di documenti nella sua villa, annulla una vacanza a Catania, prevista per il 15 dicembre, e con la fidanzata Federica, sempre il 15, vola da Fiumicino a Dubai, dove ha aperto 4 conti correnti e ha acquistato due proprietà immobiliari nel luglio precedente. Lo stesso 15 dicembre «con un contegno () connotato da spudoratezza» prova a trasferire 520.000 euro da un conto italiano verso gli Emirati per «comprare un locale», ma l’ operazione è bloccata su segnalazione della banca d’ Italia. Il gip rimarca la mancanza di «resipiscenza» da parte di Tulliani, probabilmente per «la certezza di impunità».



Quando i finanzieri accedono nella sua villa il 14 febbraio scorso trovano un sacco nero pieno di fogli di carta triturati con sopra un fiocco verde, per il gip «un messaggio di scherno» per i finanzieri. Da Dubai Tulliani non usa il suo cellulare, ma altre utenze che grazie a speciali software fanno risultare le chiamate come provenienti da una decina di paesi europei.



Tulliani «non vuole tornare in Italia perché ha paura di non poter ritornare a Dubai» e chiede al padre Sergio di inviare a sue spese l’ avvocato negli Emirati. Condotte che per il gip «denotano una personalità altamente capace di delinquere» e che «inducono a ritenere con un alto grado di probabilità che proseguirà a operare illecitamente». D’ Alessandro denuncia anche le «attitudini delinquenziali spiccate» e la «pericolosità sociale» del quarantenne. Forse l’ epitaffio sulla saga dei Tullianos.



2 – COME NACQUE L’AFFARE DELLA CASA DI MONTECARLO

Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

L’ affare della casa di Montecarlo, secondo il racconto dell’ ex deputato di Alleanza nazionale Amedeo Laboccetta, nacque tra il tavolo di un ristorante vicino al Pantheon e l’ appartamento privato a Montecitorio dell’ ex presidente della Camera Gianfranco Fini, in un giorno del 2008. A sigillo delle esplicite richieste fatte dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, che da ieri è latitante, al «re delle slot machine» Francesco Corallo.

«Nel corso di un pranzo – ha detto ai pubblici ministeri l’ ex parlamentare napoletano inquisito per associazione per delinquere, riciclaggio e altri reati – Giancarlo Tulliani, anche a nome di sua sorella Elisabetta e di Fini, informò Corallo e me che doveva aiutarli a comprare una casa a Montecarlo. Dopo un attimo di stupore Corallo gli disse che una cosa del genere dovevano chiedergliela direttamente gli interessati.

Tulliani telefonò a Fini e dopo poco andammo negli appartamenti della Camera; eravamo Giancarlo Tulliani, Elisabetta, Fini, Corallo e io. Fini disse che lui ed Elisabetta desideravano una casa proprio a Montecarlo e aggiunse testualmente: “siamo certi che vorrai aiutarci ad esaudire questo nostro desiderio”. E Corallo si dichiarò disponibile».

VISITE NEL PRINCIPATO

Lo stesso Laboccetta accompagnò il giovane cognato e Corallo nel Principato di Monaco, a spese dell’ imprenditore, per visitare appartamenti e conoscere il console italiano, che avrebbe suggerito una società immobiliare di fiducia. L’ex deputato dice di non sapere se poi le ricerche di Tulliani andarono a buon fine, né che nell’eredità di An ci fosse la casa di Boulevard Princess Charlotte 14, ma secondo il giudice che ieri ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare per Giancarlo Tulliani, Simonetta D’ Alessandro, «è in questo contesto» che matura l’acquisto di quell’ appartamento da parte di Corallo, attraverso alcune società offshore create appositamente.

L’operazione è una parte del riciclaggio del denaro dell’ imprenditore di cui i fratelli Tulliani e Fini sono accusati nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti, che ieri ha portato al provvedimento d’arresto (non eseguito perché Tulliani si trova a Dubai dal dicembre scorso) e a un nuovo sequestro di beni.

DICHIARAZIONI RISCONTRATE

Molti degli elementi a carico del cognato di Fini derivano dalle dichiarazioni di Labocetta che nel dicembre scorso finì in carcere a conclusione della prima tranche dell’ indagine, poi fu liberato dal tribunale del Riesame e il 2 marzo scorso è tornato a sedersi davanti ai pm per arricchire il racconto abbozzato a Regina Coeli dopo l’ arresto.

Fini ha annunciato querela nei suoi confronti, e gli inquirenti sono consapevoli che l’ex deputato ha interesse ad alleggerire il proprio ruolo nella presunta associazione per delinquere, nonché dei dissapori tra lui e l’ ex presidente della Camera risalenti alla rottura che Fini consumò con Berlusconi, quando Laboccetta non lo seguì.



Tuttavia i pm e il gip ritengono di aver trovato sufficienti riscontri alle sue affermazioni, dai conti bancari alle dichiarazioni di un pentito di camorra. Secondo Laboccetta, per far ottenere l’assegnazione della multimilionaria concessione statale per i videogiochi al gruppo Corallo, Fini si mosse con tutto il suo gruppo politico di riferimento. Era il 2002-2003, ben prima dell’ entrata in scena dei Tulliani.

Laboccetta fa il nome dell’ ex ministro del Commercio estero Adolfo Urso e di altri personaggi legati all’ ex capo di An che poi si sono ritrovati nella fondazione Farefuturo, che furono ospiti di Corallo alle isole Antille prima della vacanza pagata a Fini nel 2004, per la quale «Corallo affittò la villa e anche una barca, e fece arrivare istruttori dalla California e dalla Francia che accompagnavano Fini nelle immersioni… Posso dire che quel viaggio serviva a Fini proprio per creare un rapporto diretto con Francesco Corallo».

FESTE A MONTECITORIO

Nella ricostruzione della Procura e del giudice D’Alessandro, dunque, l’intesa con reciproci vantaggi economici viene stretta da Fini e dal suo entourage politico con Corallo; dopodiché l’ imprenditore liquida quel pacchetto di alleati e li sostituisce con i Tulliani, che nel frattempo erano entrati nella cerchia familiare di Fini.

Di qui, ad esempio, non uno, ma due inviti di Corallo ai festeggiamenti a Montecitorio per la figlia dell’allora presidente della Camera e di Elisabetta Tulliani, nonché i finanziamenti ai parenti di lei culminati con l’acquisto della casa di Montecarlo. Versamenti di denaro estero su estero che nell’impostazione del giudice consentono di «cogliere il ruolo di prestanome dei Tulliani», nonché di intravedere un «accordo societario» siglato da Corallo «con i Tulliani emissari di Fini».

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