mercoledì 22 marzo 2017

Travaglio tuona: "Caso Minzolini, intervenga la Corte Costituzionale, non può finire cosi!"


(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Il caso Minzolini, che poi è il caso “Parlamento fuorilegge e sedizioso”, è rapidamente scomparso dalle prime pagine dei giornali. Ma non può finire così. E i rappresentanti delle istituzioni che ne hanno a cuore il buon nome, a cominciare dal garante supremo della Costituzione Sergio Mattarella e dai presidenti delle Camere Piero Grasso e Laura Boldrini, possono fare molto perché non finisca così. Il 12 novembre 2015, ben 15 mesi fa, l’ex direttore Augusto Minzolini viene condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi di reclusione (pena principale) e all’interdizione dai pubblici uffici della stessa durata (pena accessoria), per il reato di peculato. La sentenza comporta tre conseguenze – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 22 marzo 2017, dal titolo “Non finisce qui” –.

1) Minzolini deve scontare la pena principale di 2 anni e mezzo in carcere o, se ne fa richiesta, in affidamento in prova ai servizi sociali (come B. all’ospizio di Cesano Boscone).

2) Minzolini deve scontare la pena accessoria con la perdita dei diritti all’elettorato attivo e passivo, cioè non può più votare né essere eletto, né tantomeno esercitare il pubblico ufficio per eccellenza, quello di parlamentare: dunque deve decadere dal seggio di senatore che occupa abusivamente da 15 mesi (con indennità, diarie e contributi pensionistici) al posto del primo dei non eletti che dovrebbe sostituirlo.

3 ) Minzolini, oltreché per la pena accessoria dell’interdizione, non può più restare senatore per gli effetti della pena principale fissati dalla Severino: decadenza e ineleggibilità per i condannati a più di 2 anni.

Il punto 3 è stato illegalmente cancellato dal voto di giovedì al Senato, ma i punti 1 e 2 restano: il Senato deve votare al più presto (è già in ritardo di 15 mesi) la decadenza del senatore interdetto e affidarlo al giudice dell’esecuzione penale, il Pg della Cassazione, perché inizi a scontare la pena. Quel voto, prima in giunta per le elezioni e immunità e poi in aula, può essere evitato solo se in caso di dimissioni. I precedenti più recenti di parlamentari pregiudicati e interdetti sono quattro: Filippo Drago (interdetto per 2 anni e 9 mesi), Silvio Berlusconi (2 anni), Cesare Previti e Salvatore Cuffaro (a vita). In nessuno dei quattro casi il Parlamento ha votato la decadenza per l’interdizione: o perché si erano dimessi prima (Previti, Cuffaro e Drago), o perché erano già decaduti in virtù della Severino (Berlusconi). Nel caso di Drago, prima che si dimettesse, la Giunta discusse a lungo nel 2009 se farlo decadere o no, perché alla fine della legislatura mancavano 4 anni e l’interdizione durava solo 2 anni e 9 mesi e l’interessato piagnucolava per il vulnus di non poter rientrare per i mesi restanti.

Qualche frescone ipotizzò addirittura la figura di un “senatore supplente” che gli tenesse in caldo lo scranno e poi si facesse da parte per il suo gran rientro a fine interdizione. Ma per fortuna le dimissioni del pregiudicato ci risparmiarono almeno questa vergogna. Ora la scena potrebbe ripetersi con Minzolini, ma le sue dimissioni, per ora solo annunciate, non hanno alcuna possibilità di essere accolte prima di fine legislatura: la prassi vuole che alla prima votazione siano regolarmente respinte. Dunque il presidente del Senato, per una questione di decenza oltreché di legalità, dovrebbe sollecitare la Giunta a contestare subito il diritto di Minzolini a restare, passando poi la parola all’aula per la presa d’atto dell’interdizione. Se no Minzolini potrebbe iniziare a scontare la pena in carcere o in comunità di recupero mentre è ancora senatore, stipendiato e pensionato a spese nostre. Una scena che farebbe il giro del mondo, contribuendo alla nostra già altissima reputazione internazionale.

Il presidente Mattarella dovrebbe fare di tutto per scongiurare quest’ennesimo scempio. Gli basterebbe ricordare ciò che disse da deputato nel 2007 quando la Camera traccheggiava sulla cacciata di Previti: “Un cittadino interdetto in perpetuo dai pubblici uffici non è più titolare dei diritti elettorali, non può più votare e di conseguenza non può più essere eletto, e se è già stato eletto ed è parlamentare decade dal mandato ai sensi dell’art. 66 della Costituzione… sopra la quale non vi è null’altro… L’on. Previti è divenuto ineleggibile… È sempre la Costituzione all’art. 56 che dispone che può essere deputato solo chi può votare, e ciò non è più consentito all’on. Previti per effetto dell’interdizione. La funzione di deputato è indiscutibilmente un pubblico ufficio, e non gli è più consentito di ricoprirlo. Solo la Camera può disporne la decadenza o accettarne le dimissioni, e noi siamo chiamati a farlo, salvo violare le regole della Costituzione e della legge”.

Per molto meno, un suo illustre predecessore minacciò addirittura di sciogliere il Parlamento: quando, il 23 settembre 1993, la Camera salvò dall’arresto l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, indagato per corruzione e associazione per delinquere, Oscar Luigi Scalfaro tuonò: “È un suicidio del Parlamento, una rottura tra la gente e il Parlamento, una lesione del principio della pari condizione: dopo quel voto intollerabile vi giuro che, se gli adempimenti fossero già stati completati, la giornata sarebbe finita con lo scioglimento delle Camere”. Eppure allora, anche se spesso e volentieri ne abusavano, le Camere avevano la facoltà di bloccare un arresto per fumus persecutionis, mentre oggi non possono violare la Severino né ignorare un’interdizione.

Se nessuno interverrà, il Senato verrà trascinato davanti alla Corte costituzionale con un conflitto di attribuzioni sollevato dal Pg della Cassazione (per la mancata interdizione di Minzolini) o più improbabilmente – come chiedono alcuni ex 5Stelle – dai presidenti delle Camere (per violazione di una legge). E sarebbe un pessimo spettacolo. L’ennesimo.

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