«Dipende da quando vengono fatti scattare i termini della prescrizione» conferma a Libero l’avvocato Fabio Greggio, che tutela gli interessi della famiglia. Ma com’è possibile che si sia arrivati a un simile e tragico paradosso? I due istituti di credito con cui Schiavon aveva i conti correnti avrebbero capitalizzato gli interessi accrescendoli oltre misura e per la restituzione dei prestiti avrebbero preteso tassi da usura. Insomma, Schiavon sarebbe stato vittima di anatocismo bancario e usura.
Questo è quanto è stato scritto in tre perizie diverse consegnate dal perito tecnico al giudice, il quale dovrà decidere se gli istituti di credito dovranno risarcire o meno la famiglia. Una delle due banche, per chiudere la questione, ha proposto una transazione, che però la controparte ha rifiutato. «Al momento non la riteniamo soddisfacente» sottolinea il legale.
Flavia Schiavon ricorda il padre come «un uomo onesto che avrebbe potuto fare come fanno tanti, chiudere la società, aprirne un’ altra e lasciare i debiti in quella vecchia, mandando a casa i dipendenti. Ma non l’ ha fatto». L’azienda è in liquidazione. La figlia dice che riesce a pagare le cartelle di Equitalia solo grazie all’ aiuto dei parenti, e che non passa giorno senza che i fornitori si facciano vivi per chiedere soldi.
Avevano bussato alle porte della ditta già due settimane dopo il suicidio del titolare. Allora avevamo scritto dello sfogo della figlia e della vedova, la signora Daniela Franchin, distrutte dal dolore e amareggiate perché molti dei fornitori che pretendevano di essere pagati, negli anni erano diventati amici e tutti erano sempre stati remunerati puntualmente.
Alla Eurostrade 90, pochi mesi dopo la morte di Schiavon, era stata notificata un’ingiunzione di pagamento da 180 mila euro. La figlia aveva anche ricevuto una lettera anonima in cui veniva accusata di sfruttare la morte del genitore per andare sui giornali e in cui le si consigliava di fare la stessa fine. Fu dopo aver letto quella lettera vergata con infamia che Flavia Schiavon rinunciò alla presidenza dell’ associazione ideata per riunire le famiglie vittime di suicidi dovuti alla crisi sul lavoro. Durante quelle maledette ultime settimane del 2012, nel Padovano, oltre all’imprenditore edile di Vigonza si suicidarono altri tre titolari d’ azienda stritolati dai crediti, non dai debiti. Il Veneto, con un centinaio di suicidi, negli ultimi cinque anni è stata la regione che ha pagato più a caro prezzo la crisi e il totale menefreghismo dimostrato dallo Stato nei confronti di una terra che ogni anno regala più di 20 miliardi di residuo fiscale a Roma. Ora si scopre che probabilmente uno degli imprenditori simbolo di quella lunga scia di sangue si è tolto la vita angosciato da debiti che in realtà non aveva. E se non fosse stato l’ unico ad ammazzarsi per colpa di banche che chiedono indietro soldi che non solo non gli spettano e che anzi devono restituire ai clienti?
FONTE:
LIBERO
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