sabato 8 aprile 2017

STATO INFAME: COSI’ IL FISCO FOTTE I NOSTRI GIOVANI COSTRETTI A LAVORARE ALL’ESTERO


“Sono decine di migliaia i giovani italiani recatisi a lavorare all’estero e che ignari della normativa nazionale e convenzionale che disciplina la tassazione del reddito conseguito all’estero, rischiano di essere sottoposti a doppia imposizione fiscale senza poter tuttavia usufruire del credito di imposta. E tutto ciò solo per il fatto di non essersi iscritti all’AIRE e di risultare quindi ancora residenti in Italia, per cui soggetti a tassazione (anche) in Italia sul reddito conseguito all’estero”. È quanto rileva oggi Marco Fedi, deputato Pd eletto all’estero, secondo cui siamo di fronte ad una “bomba ad orologeria che potrebbe scoppiare da un momento all’altro e colpire duramente nelle “tasche” le nuove generazioni di emigrati”. Infatti, spiega il deputato, “ci sono già stati segnalati alcuni casi dall’Inghilterra ma il fenomeno interessa tutto il mondo dell’emigrazione. Vale la pena sottolineare che invece gli iscritti all’AIRE che risiedono e lavorano in Inghilterra devono pagare le tasse solo in questo Paese a differenza di coloro i quali non si sono iscritti all’AIRE e che vengono sottoposti a doppia tassazione sebbene mitigabile con il credito di imposta”.
Qual è quindi il problema per coloro i quali non si sono iscritti all’AIRE?
“Il problema – chiarisce Fedi – deriva dalle disposizioni del TUIR (Testo Unico Imposte Redditi) che si applicano a coloro i quali lavorano all’estero ma non si sono iscritti all’AIRE (iscrizione obbligatoria dopo un anno) e che, quindi, mantengono ancora la loro residenza in Italia, e dall’intreccio della normativa nazionale con quanto stabilito da alcune convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali che prevedono la tassazione concorrente compensata dal credito di imposta. Esistono, infatti, delle convenzioni firmate dall’Italia (esempio quelle con il Regno Unito ma anche altre in Europa e in Paesi extracomunitari), in virtù delle quali (art. 15 – “lavoro subordinato”) un residente italiano, che percepisce uno stipendio nel Paese straniero, è sottoposto alla cosiddetta “tassazione concorrente”. Tale reddito è imponibile sia nel relativo Paese in cui il reddito si è prodotto, sia in Italia per il principio della “worldwide taxation principle” potendo però godere in Italia di un credito d’imposta per l’onere tributario sostenuto all’estero (per evitare una doppia tassazione)”.
Le disposizioni del TUIR, ricorda Fedi, “prevedono il principio cosiddetto della tassazione “mondiale” (worldwide taxation principle) dei redditi, che l’Italia ha adottato nel proprio diritto tributario. L’Amministrazione fiscale italiana applica perciò il principio secondo il quale i redditi del cittadino residente in Italia sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti. Tale modalità di prelievo deriva da quanto disposto dagli articoli 1, 2 e 3 del D. Lgvo 917/86 (TUIR) i quali rappresentano i fondamenti del principio della “world wide taxation”. Secondo il diritto tributario italiano – precisa ancora il parlamentare – è considerato contribuente residente colui che è, per la maggior parte del periodo di imposta (per almeno 183 giorni), iscritto nell’anagrafe della popolazione residente ovvero considerato residente (a volte è sufficiente avere il domicilio in Italia per essere considerati residenti) anche se vive e lavora all’estero”.
“I nostri giovani i quali lavorano all’estero ma hanno mantenuto la residenza in Italia, – osserva Fedi – molto probabilmente, sono stati sottoposti a prelievo fiscale dall’autorità fiscale del Paese ove lavorano: spesso si crea così il fenomeno della doppia imposizione (a meno che la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali non lo annulli esplicitamente non prevedendo la tassazione concorrente) che è tuttavia mitigato dalle convenzioni e dall’articolo 165 del TUIR. Ed è qui che, come si suol dire, “casca l’asino” e cominciano i problemi”.
Cosa stabilisce l’articolo 165 del TUIR?
“Vale la pena riportare le frasi e i contenuti che ci interessano: Art. 165 – Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. 1. Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta… 8. La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”.
“Traduzione: coloro i quali lavorano all’estero, non si sono iscritti all’AIRE, risultano quindi residenti in Italia, devono pagare le imposte sul reddito in Italia e se non hanno fatto annualmente la dichiarazione dei redditi in Italia NON hanno diritto al credito di imposta. Saranno quindi tenuti a pagare le tasse sul reddito sia nel Paese di lavoro che in quello di residenza (quando e se ovviamente l’Italia ne verrà a conoscenza: eventualità oggi molto verosimile in virtù delle nuove funzionalità dei trattati sullo scambio delle informazioni fiscali). Insomma, per quanto riguarda l’Amministrazione fiscale italiana, resta ben fermo il concetto per il quale il cittadino residente in Italia, se ha prodotto redditi all’estero, questi debbono essere sempre dichiarati al fisco italiano ed a questo vanno versate le imposte con la salvaguardia del credito di imposta. Tuttavia, si ritiene, che nei casi in cui le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali prevedano l’applicazione di norme in contrasto con il diritto nazionale, si ponga un problema di rapporti tra quest’ultimo e il diritto tributario internazionale”.
“Non si tratta di un problema di poco conto – sottolinea Fedi – nella misura in cui esistono situazioni in cui il trattato internazionale dispone in maniera opposta da quanto previsto dalla norma interna ovvero limita, il primo, la potestà impositiva dello Stato nazionale. In campo giuridico dottrinale si parla sovente della prevalenza della norma convenzionale su quella interna in quanto norma “speciale”. Sarebbe quindi interessante verificare se il concetto di tassazione mondiale definito all’interno del nostro TUIR può essere annullato dall’interpretazione sempre più diffusa nel diritto tributario, e non solo, secondo cui la norma pattizia internazionale prevale se dovesse disporre in modo difforme dalla regolamentazione interna”.
“Questo orientamento – aggiunge – sembra essere confermato proprio dallo stesso art. 169 del TUIR che recita che le disposizioni presenti in tale testo sono applicabili in deroga alle convenzioni internazionali solo se più favorevoli subordinando, dunque, la prevalenza del TUIR alla esistenza di disposizioni migliorative, altrimenti, si presume, si applicano i trattati internazionali. È ovvio che la complessa materia necessita di chiarimenti univoci e definitivi e per questo sto programmando interventi legislativi e politici affinché sia trovata una soluzione innanzitutto alla situazione di precarietà ed emergenza fiscale in cui si trovano certamente decine di migliaia di giovani italiani i quali stanno lavorando all’estero, non sono stati informati adeguatamente dei loro diritti e dei loro doveri fiscali dalle istituzioni competenti del nostro Stato, e rischiano ora – per non essersi iscritti all’AIRE – di dover pagare una doppia tassazione sui redditi conseguiti all’estero senza poter usufruire del credito di imposta dall’Italia; in secondo luogo affinché sia chiarito il quesito sulla prevalenza del diritto nazionale o di quello convenzionale in modo tale che le disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali si impongano sulle norme nazionali quando concorrono ad eliminare il fenomeno della doppia tassazione a prescindere dal principio italiano della “world wide taxation””.

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