giovedì 23 marzo 2017

Ecco il trucco del PD per tenersi i vitalizi. Con la complicità del silenzio dei media


(Franco Bechis – Libero quotidiano) – L’ufficio di presidenza della Camera dei deputati ha bocciato ieri la proposta del Movimento 5 stelle per equiparare i trattamenti pensionistici dei parlamentari in carica a quelli di tutti gli altri italiani, calcolandoli con il metodo contributivo stabilito dalla legge Dini e sottoponendoli per tutto il resto alla legge Fornero. La proposta ha ottenuto i voti favorevoli della Lega Nord e di Fratelli di Italia, ma non è passata per la contrarietà di Pd, di Forza Italia, Ap e tutti gli altri.

Con la bocciatura naturalmente è scoppiata la guerra fra Pd e M5s con toni anche forti, e un comizio finale in piazza davanti a qualche centinaio di militanti che protestavano di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. I 5stelle accusavano gli altri di non volere una volta di più equiparare i parlamentari a tutti gli altri italiani, abolendo uno dei privilegi più odiosi che ci siano: quello pensionistico. Il Pd controbatteva sostenendo che solo loro tagliavano i vitalizi agli ex, consentendo un buon risparmio alle casse della Camera. Ora la verità è che il contributo di solidarietà deciso dal Pd ha basi giuridiche assai fragili, e importi molto timidi. È già stato applicato in passato, ed è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. In ogni caso il contributo viene applicato solo alla platea degli ex parlamentari che percepiscono più di 70 mila euro lordi annui: rappresentano meno del 20% del totale. Il taglio più sensibile, quello oscillante fra 400 e 600 euro lordi al mese, è applicato solo al 6% degli ex parlamentari che oggi percepiscono un vitalizio.

La proposta è assai modesta, vale solo per tre anni e rischia di essere bocciata al primo ricorso istituzionale. Quello che propongono i 5 stelle, non punta tanto sul risparmio, ma su un tema di equità e di abolizione dei privilegi che – inutile dirlo – è assai sentito da tutti i cittadini italiani e rischia di diventare il principale tema politico da qui a settembre. Non c’è un solo italiano che non faccia il parlamentare che abbia diritto a percepire una pensione avendo versato solo 4 anni e 6 mesi di contributi. È questa la disparità inaccettabile rispetto a milioni di italiani che si sono visti strappare il miraggio della pensione a due passi dopo avere lavorato 30 o 40 anni proprio grazie alle nuove rigide regole della riforma Fornero. Per altro in poche altre realtà europee questo trova parallelo: in Francia è possibile prendere una pensione di meno di mille euro dopo 5 anni da deputato solo se in tutto il resto della vita non hai avuto altri contributi versati: quell’assegno è sostitutivo di altre pensioni, e mai cumulabile, nemmeno con regimi previdenziali privati.

In Italia questo privilegio della pensione dopo solo 4 anni e sei mesi di lavoro riguarderebbe in tutto poco più di 500 parlamentari (gli altri l’hanno già maturata), e togliendo i 5 stelle che non la vogliono per sé, ne beneficerebbero poco più di 300 su 945. È davvero difficile capire perché la maggioranza assoluta di deputati e senatori non voglia disinnescare questa inutile bomba politica che è sulle loro poltrone e che esploderà da qui al 15 settembre. Non c’è nulla di drammatico nell’idea di utilizzare questi contributi per il cumulo con quelli già versati o che si verseranno per qualsiasi altro mestiere, avendo alla fine una pensione calcolata sul versato di tutta la vita come capita oggi a tutti gli altri italiani. Rifiutare di farlo come è accaduto ieri non è simbolo della difesa di un privilegio. È semplicemente stupidità.

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